Da, STRENNA STORICA BOLOGNESE,

anno XXXVI - 1986
a cura del comitato per Bologna Storica e Artistica
Patron editore - Bologna

 

GABRIELE D'ANNUNZIO IN PANNE NELL'APPENNINO BOLOGNESE,
UNA LETTERA INEDITA DEL POETA E NOTE LIVERGNANESI.

 

Celestino Piana

 

 

È stato scritto che il D'Annunzio definì le «Dolomiti di Livergnano» quel primo tratto della montagna bolognese a 23 km da Bologna. Nel fondo-Savena, a sinistra, vi era la chiesa di S. Ansano, cenobio conventuale e nel 1449 rifugio dei religiosi e dei modesti umanisti, come il mago Filippo Fabbri da Bologna, Taddeo Garganelli O.S.M. e Nicolò Volpe da Vicenza ('), per sfuggire l'«atrocissima pestis» della città: chiesa graziosa completamente distrutta nell'ultimo conflitto, il cui ricordo è almeno assicurato da alcune foto superstiti e da un blocco d'arenaria con la data del 1487 ('). Questa chiesa sorgeva alla base di un'immane muraglia di stratificazioni di arenaria del pliocene, sulla cui cima sorgeva ancor prima del Mille, il munitissimo castello (il «Castellazzo») di Brento; e da Brento s'innalza la cuspide più alta di questa catena di montagne, che nell'autunno e nell'inverno del 1944-1945 fu l'ultima fortezza della resistenza germanica.
A destra, partendo sempre dal Savena, s'innalza gradatamente, attraverso qualche casolare, la via campestre che s'arresta improvvisamente di fronte ad altra alta rupe, sulla quale vi è la casa dei Lamazzoli, poi il Castello e la chiesa. Oltre il cimitero la roccia s'interrompe improvvisamente. Scriverebbe il D'Annunzio: «Le balze strappiombano dal cielo».
Sotto questa balza vi è il borgo di Livergnano, attraversato dalla strada nazionale della Futa. Non si può dire se l'interruzione di quell'enorme masso sia naturale o se nel volgere dei secoli lontani in parte sia stato abbattuto per dar luogo alla strada. In tempi successivi, anche al principio di questo secolo, sono state compiute escavazioni in questa roccia per addossarvi modeste, ma ben sicure abitazioni. Nel corso di questi lavori, non con macchine scavatrici, ma a pesanti colpi di piccone, nella profondità di alcuni metri sono state trovate foglie d'albero, che, abilmente estratte, sono ancora conservate nel Museo di geologia dell'Università di Bologna.
Dopo pochi metri dalla strada nazionale si comincia a risalire al secondo e più orrido tronco delle Dolomiti di Livergnano, che ancora a strapiombo termina sul torrente Zena. Queste montagne parvero inespugnabili e furono la vera «Linea Gotica», causa della totale distruzione del paesetto e del trasferimento di tutta la popolazione, da parte degli Alleati, a Firenze ed oltre.
La suggestiva denominazione data o attribuita al D'Annunzio corrisponde, dunque, alla configurazione di questo primo paese montano. Prima della costruzione dell'Autostrada era questa la strada d'obbligo per attraversare l'Appennino, e da Firenze giungere a Bologna. Ma ci voleva tutta la fantasia del Poeta per accostare quest'ultima frazione del comune di Pianoro alle superbe ed impressionanti cime delle Dolomiti. Non credo che vi sia un diario degli spostamenti del D'Annunzio, ma si può supporre che tante e tante volte egli abbia percorso questa strada. Una data approssimativa può ora esser indicata poco prima del30 settembre 1909, diretto a Marina di Pisa. Si avvicinava alla Francia, dove sarebbe andato prestissimo per sottrarsi alla morsa dei creditori!
Il destinatario della lettera non era, come potrebbe credersi, un uomo di lettere o di cultura, ma un semplice operaio, con la pagella della III classe elementare, perché questo era il tirocinio di allora, in quella scuola del Fontanello, che in un unica aula assieme, ogni mattina, raccoglieva le tre classi numerosissime. Nessuna delle maestre che si sono succedute in quell'aula, avrà rievocata la storia del modesto edificio, che si spinge indietro, oltre sette secoli, precisamente al 9 aprile 1274, con certissima identificazione, perché ricordato unitamente al «rectori hospitalis de Livrignano et converso eiusdem hospitalis» (3), cioè l'attuale Ospedale, distante poche decine di metri.
Dunque, non uomo di lettere o di cultura, ma come direbbe il «laudator temporis praeteriti», un uomo di una volta; lavoratore, scrupoloso nell'adempimento del dovere, onesto, gentile con tutti, religioso fedele ed iscritto al Terz'ordine francescano. All'onestà da tutti riconosciutagli egli univa una capacità pratica, tanto da essere eletto presidente di quella Cassa rurale fondata nel 1902 dall'abate di Barbarolo don Adolfo Agostani, trasformata poi in Cassa Rurale ed Artigiana e trasferita a Loiano nel 1958, con diverse diramazioni (4).

Il suo nome era quello di Adolfo Menetti (in arte Dulfein: 29 apr. 1874 a Livergnano -9 marzo 1946 a Pescia); il suo lavoro era quello di cantoniere della strada nazionale della Futa, nel tratto di circa quattro km. Trascorse dunque la sua vita lungo la strada, allora percorsa da pochissime macchine, ma battuta dagli zoccoli di asinelli per i servizi locali, e di muli e cavalli per i trasporti a Loiano o a Scaricalasino. Tanto egli visse su la strada, che della strada sentì la nostalgia quando gli fu data la pensione, sì da trascorrere qualche ora ogni giorno su la stessa strada, sedendo su un muricciolo. Si era sposato con Emma Magnani, proveniente dalla famiglia patriarcale del Castello, il casolare su le «Dolomiti» di Livergnano. È bene aver accennato alla famiglia, perché ad essa pure si fa cenno nella lettera inedita.
Ma l'incidente della macchina come avvenne? Si può ben pensare che il Poeta, sia pure non in prospere condizioni economiche, non avesse affrontato il viaggio Firenze-Bologna su una carcassa, ma su un'auto che, la più progredita tecnica automobilistica di allora offriva ai pochi che potevano permettersi quello straordinario mezzo di locomozione. Probabilmente le forti salite del Passo della Futa e della Raticosa avevano logorato la "fuori serie» del Poeta, perché, già in avanzato territorio che non presentava più alcuna difficoltà, la macchina si arrestò ...

 

 

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